Ecco perché servono i partiti digitali

di Marco Demarco
Tecnopartiti, plattform leadership, partiti digitali. Si parlerà di questo – e anche di Fedez, a dirla tutta – domani a PoliMiNa, la scuola di politica con sede a Milano e a Napoli. Ma poiché scrivo da Napoli e seguo le cronache di questa città e di questa regione, mi è subito venuto da pensare al caso Avellino. Seimila iscrizioni al Pd in una sola notte. Un record sospetto. Un imbroglio.
A quanto pare, è bastata l’idea moderna di un tesseramento on-line per riaccendere la vecchia ma mai consumata fantasia di qualche notabile. Folklore politico? Mettiamola così. Se però allarghiamo lo sguardo, e da Avellino lanciamo un’occhiata a Roma, dove volano gli stracci e gli schizzi di fango, o a Milano, dove un rapper ha mandato tutti in tilt, o al mondo intero, ecco che le cose cambiano. Avremmo bisogno di forze politiche all’altezza dei tempi. Capaci di scelte coraggiose, ben ponderate, probabilmente scomode. E invece…
Punto di riferimento della discussione sarà l’ultimo numero de «La Rivista di Digital Politics» diretta da Mauro Calise. E si partirà da un dato indiscutibile. Ovunque la dimensione digitale è ormai quella dominante. Ciò implica rischi ma anche opportunità. Si tratta allora di capire quale atteggiamento assumere. Apocalittici o integrati? Il dubbio è quello di sempre. È vero, però, che nel frattempo lo scenario si è ulteriormente complicato. Ed ecco, quindi, un altro interrogativo. Possiamo ancora credere nella democrazia, pur ritenendola in crisi di fronte all’accelerazione della storia, o dobbiamo darla per compromessa e prepararci a una sorta di resistenza analogica? Chi crede che la crisi sia “della” democrazia parla appunto di postdemocrazia, cioè di assetti di comando finiti nella disponibilità di un’elite ristretta, così che ai cittadini non resti – come è stato detto – che decidere se ordinare la Pepsi o la Coca Cola. E parla, di conseguenza, anche di diritti individuali irrimediabilmente violati, di un nuovo Leviatano digitale, di neototalitarismo, di capitalismo che non è più industriale o finanziario, ma che risiede invece nei dati che volenti o nolenti noi stessi cediamo a chi sa trasformarli in ricchezza e potere; dati che spesso riguardano le nostre stesse esistenze. Per gli apocalittici, la prospettiva è quella di un mondo ridotto al disimpegno, a un mucchio di documenti, di testimonianze di vite frammentate, di selfie compiaciuti, di foto da vero e proprio vouyerismo gastronomico. E le notizie? Quelle saranno rubate, copiate, manipolate, inventate. E in effetti è in parte ciò che sta già accadendo nella comunicazione politica.
Viceversa, se si ritiene che la crisi non è “della” democrazia, ma è “nella” democrazia, allora tutto cambia, e i margini di manovra si riaprono. Tanto per cominciare, diventa fondamentale l’esigenza di riconnettere lo spazio pubblico e lo spazio politico, la società e il Palazzo. Torna così la centralità della politica. Ma come evitare la sfiducia, l’apatia, il rancore e il cinismo del corpo elettorale? I segni di questa deriva democratica sono molti ed evidenti. L’assenteismo (ne sappiamo qualcosa a Napoli e Milano), il fenomeno dei leader mordi e fuggi, la fase calante di movimenti come i Cinquestelle e le Sardine. Finora si è provato a rispondere sacrificando parti essenziali della stessa democrazia: l’intermediazione politica in nome del decisionismo, il pluralismo in nome del pragmatismo, il parlamentarismo in nome dell’efficienza, l’autonomia dei territori in nome del centralismo, e perfino il confronto tra avversari politici in nome di più rassicuranti monologhi (a proposito: possibile che a beccarsi in scontri diretti siano ormai solo i giornalisti di riferimento?). E se invece la risposta alla crisi venisse non da una riduzione forzata della democrazia ma da un suo potenziamento? Cito dalla locandina di PoliMNa. «Se la partecipazione viaggia sempre più – e sempre più veloce – in Rete, che futuro possono avere i partiti restando ai margini del web? Adattarsi al nuovo ecosistema digitale, stravolgendo e rinnovando i propri apparati organizzativi, è questa la grande trasformazione che attende i partiti politici nei prossimi anni». Tutto, allora, tranne che iniziare con un tesseramento tecnologicamente taroccato.